Oltre. Il paesaggio ritrovato
Dal 18 al 22 si terrà una mostra del mio amico Pierluca Bencini al quale ho curato la critica e il catalogo.
Siete tutti invitati a partecipare ad un evento che, oltre ad essere bello, ha lo scopo di trovare fondi per le suore di Valserena e la loro missione in Angola.
Vi rimando al mio testo critico e al volantino per i dettagli.
Il paesaggio è oltre
Vedute di una realtà che si
ostina ad essere più forte dell’uomo
Sempre connessi ad una rete di informazioni, tutto sembra tanto vicino e uguale da essere interscambiabile e i generi diventano un intralcio. La realtà è un incomodo con il quale fare i conti il più tardi possibile. Eppure è là, oltre tutte le interfacce messe a protezione dei nostri preconcetti. Una brutta bestia che schiaccia a terra, che dimostra la sua forza distruttiva in modo immediato quanto definitivo.
Insomma, un brutto incomodo.
Ecco perché il paesaggio è tutto ciò che l’uomo moderno odia. Non lo si vuole vedere se non in una cartolina virtuale perché ricorda con la sua sola presenza ciò che è vero e sacro. Vero perché il paesaggio contemplato rivela il suo essere segno del principio delle cose. Sacro perché quando viene ritratto permette di riconoscere in lui il suo essere segno del mistero religioso o laico che sia. Vogliamo o no far tornare l’arte alle sue origini ed al suo incredibile essere - nella falsità dell’immagine - realtà di presenza? Il velo che l’uomo moderno si è posto sugli occhi dovrà pur essere tolto prima o poi da qualcuno. In fondo si è un pò stufi di un arte che continua a dire che l’uomo non esiste più, sostituito dai ruderi mentali di una società votata al collasso. Forse il compito dell’arte può anche tornare ad essere quello di una generosa e drammatica guida.
In questo una piccola parte la può avere anche Pier Luca Bencini. La sua arte è figura e colore oltre il velo del preconcetto ed in questo male si sposa con ciò che fa tendenza e che si cestina nel giro di una stagione. Se volete la pittura esclusiva e dotta andate da un’altra parte. Se volete l’opera che esacerba, che strania e disorienta passate accanto ma non fermatevi. Tanti si gettano all’inseguimento di novità che sono maschere fittizie, incapaci di nascondere l’ignoranza profonda della loro arte.
Troppi negano l’esistenza del sacro in nome di un umanesimo ridotto a materialismo vuoto, autoreferenziale. In queste sale non troverete nessuno che sputi sentenze e giudizi ridondanti ma un cuore ancora giovane e umile, spaventato dai riflettori e dalla vertigine dell’esposizione. Un cuore sapiente come può essere quello di chi ignora tutte le complicazioni di un linguaggio erudito, stanco e che giudica il bello e il brutto dalle premesse di uno status quo intoccabile.
Quando ritorna a casa, dopo una giornata di lavoro o di viaggio, Pier Luca ha negli occhi ancora il paesaggio che ha contemplato ed è questo quello che si riversa sulle sue tavole. Inoltre, nell’osservare la sua pittura, non è possibile prescindere dall’impatto fisico con una pittura evidentemente materica che scaturisce dal suo mentore e che a più riprese torna a confrontarsi umilmente con la citazione. Una citazione che non è mai imitazione sterile ma meditazione partecipe.
La parola giusta per descrivere i suoi soggetti è incontro. Che poi significa chiamata. Che cos’è un incontro senza il lascito di un compito? Come Il Matteo di Caravaggio è stato l’unico ad intendere il significato del gesto imperioso e generatore di Cristo, così chi ha cuore non può sottrarsi senza perdere parte di sé. Fa niente se vent’anni fa ha lasciato la pittura per dedicarsi ad altro. Il colore lascia una traccia indelebile nel cuore di chi lo ha conosciuto.
Il soggetto dei quadri è il paesaggio, un genere che non ha mai veramente ottenuto il suo giusto spazio sebbene abbia avuto un ruolo capitale nel Rinascimento di Bellini, Tiziano e degli altri grandi veneti. Solo alla fine dell’ottocento, quando la modernità si è affacciata anche nel campo delle arti figurative questo soggetto, apparentemente così umile e antiretorico è risultato decisivo. In quel momento la pittura da cavalletto è divenuta lo strumento sul quale si è incardinata tutta la rivoluzione moderna. E fino alla fine della seconda Guerra Mondiale è stato così. Oggi molti pensano che ridursi a lavorare ancora a cavalletto dedicandosi ad un tema desueto come il paesaggio sia ormai anacronistico. Solitamente quello che si chiede ora è una offensiva denuncia di qualsiasi preconcetto in nome di una umanità superiore e generica, così generica da essere astratta.
Eppure se mi volto indietro e guardo coloro che più mi riempiono il cuore di nostalgia e dolore per la realtà sono coloro che non hanno rinunciato pretestuosamente alla pittura ma ne hanno saputo ritrovare il significato profondo. Il cavalletto davanti ai campi e alle strade di quartiere è uno strumento di acuta osservazione e giudizio, rinnovatosi di volta in volta col mutare dei tempi e delle mode ma rimasto ciò che meglio di tutti può portare il pittore vicino alla realtà percepita. Dire cos’è la realtà non è facile ma sicuramente essa non è l’esclusivo dato oggettivo nato dalla semplice osservazione. E da qui parte il percorso di Pierluca. Da una domanda insistente ed inquieta che si riaffaccia sovente dalle griglie di quella sorda iconostasi che cerca di nascondere l’orizzonte.
Lascio al pittore descrivere la sua storia ma senza di quella è impossibile descrivere la sua pittura. Alzarsi alle quattro di mattina e mettersi a dipingere è un atteggiamento che fa parte di quella sacra malattia che adoro e che muove il mondo della vera arte. Vuol dire avere ancora dei nervi scoperti che dolgono e chiedono di essere leniti dal balsamo del colore. Perché tornare a casa dopo un lungo viaggio e chiudersi in quello che a stento può essere ritenuto uno studio ma che vuole essere comunque luogo di espressione, significa possedere un dono che molti hanno perso ancor prima di cominciare.
Quando Pier Luca mi ha chiesto di aiutarlo in questa impresa gliene sono stato grato, però temevo che vent’anni di inattività e l’assenza di un percorso ordinario di studi fosse un problema. Forse, che la pittura di un dermatologo non potesse essere che una crosta.
Credetemi, non lo è.
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