Piccole digressioni monumentali sull'arte

Nell'arsura di questi giorni la lettura della biografia di Mario Sironi (Elena Pontiggia, Mario Sironi, Iohan & Levi) mi ha aiutato a mettere qualche pensiero in fila.




Sironi (in un articolo da lui scritto negli anni '30 prima della pubblicazione del Manifesto della pittura murale e allegato in questo post) prospetta un ritorno all'arte murale. Un sogno impossibile per l'uomo del XX secolo, frammentato e preda delle diverse ideologie che hanno contraddistinto proprio gli anni delle invettive del grande artista. Questa idea venne pagata da lui un prezzo altissimo, con la fatica incessante di proporla e vedendola svilita o ridotta. Inoltre avendo legato questo stile al Fascismo ne decretò la fine.

In realtà la sua proposta era perdente dal principio per un motivo ancora più profondo: l'arte è specchio del suo tempo quando legge e testimonia in forma "alta" lo spirito di quello stesso tempo.

L'idea di una pittura murale nasceva da un tentativo grande, drammatico e monumentale di riportare l'arte italiana ai fasti della grande tradizione medievale e rinascimentale e in questo Sironi può essere paragonato in molti modi al potente Michelangelo. Questi aveva cercato di riconciliare due importanti stagioni della storia, lo stile del mondo classico e la civiltà cristiana.

L'artista del "Novecento" compie un'opera analoga avendo prima di tutto un intento civile e sociale, avvicinando la grande classicità mediterranea che doveva fungere da strumento pedagogico a un popolo che si sarebbe ritrovato nei suo grandi affreschi. Ma se nell'Italia degli anni '20 esisteva ancora un vivo sentimento cristiano, certo non c'era, vivo e compreso, un'identità nazionale anche solo paragonabile a quella degli stati nordici, essendo l'Italia testimoniata meglio da identità regionali e "paesane".

Sironi pone da parte qualsiasi spirito religioso che si rifaccia alla cristianità in senso stretto e recupera principalmente l'afflato ideale. Ma il mondo, sia per la mentalità secolarizzata di quel secolo, sia per la condizione ontologicamente umana, è un seguito di cicli e fortune destinati prima alla sconfitta, poi alla dimenticanza.

I committenti per un arte come quella auspicata da Sironi potevano essere solo pubblici o religiosi ma i primi ebbero spesso diverse riserve sul lavoro dell'artista mentre i secondi si tennero lontano quasi sempre dall'autore, che si dedicò solo a poche commesse come la vetrata del Niguarda. Il mondo del mercato, che avrebbe potuto sostenere economicamente l'artista, non era per nulla interessato alle dimensioni monumentali delle sue opere, poco spendibili in mostre e gallerie.

Pochi illuminati (e ricchi) imprenditori fecero la loro parte (vedi lo squisito fregio di Campigli per la Ferrania) ma neanche questi potevano dare corpo ad un vero tessuto di commissioni e produzioni che riempisse le città come nella Firenze del '400, tappezzata dentro e fuori dalle chiese di splendide Madonne con bambino.




E qui forse veniamo ad oggi, quando la traballante ripresa culturale italiana ha visto in Milano un esempio di come ricongiungersi ad un occidente globalizzato e "contemporaneo", il tutto attraverso l'architettura dei quartieri di City Life e Piazza Aulenti. Le arti pittoriche sono state poste fuori gioco in questo processo, lasciando spazio ai due altri protagonisti: l'architettura e la scultura.

Esiste però proprio a Milano un esempio di arte murale contemporanea. Paradossalmente questo tipo di arte non nasce dall'alto, da una cenacolo di pensatori ma dagli anfratti illegali e mal sopportati di una cultura popolare e di contestazione. Le grandi pareti grigie dei ponti e dei viadotti sono attaccati nottetempo facendo crescere una pianta rampicante di graffiti, disomogenei e incostanti, tra loro mal assortiti e soprattutto provvisori.

Nascono così delle moderne pareti palinsesto, compositivamente vicine ad alcune pratiche medievali di affreschi disposti in un complesso arazzo composito sulle pareti delle chiese senza un ordine preciso.

Idealmente però gli intenti sono opposti, l'artista writer nega dal principio la durata della sua opera, vedendola in poco tempo cedere nei colori e nella presa sul muro di cemento, coperta da nuovi strati di tag (firme provocatorie che impestano la base dei palazzi cittadini) e nuovi graffiti. Nulla di più lontano dalle speranze di Sironi e della sua generazione.


Mario Sironi Pittura murale

L'idea di un ritorno alla pittura murale non è certo di oggi. Per tutto l'ottocento in Italia si è pensato, a intervalli, a sbalzi subitanei e senza seguito, alla rinascita di una forma d'arte che ci appartiene così intimamente in tutto lo svolgersi della sua gloriosa tradizione. Ma nell'ottocento, oltre all'abitudine, alla disciplina nell'esprimersi nel modo della pittura murale, mancavano anche princìpi e norme pittoriche e plastiche adatte. Gli ideali erano troppo divergenti. 

Nei moderni l'aspirazione profonda alla pittura murale è vissuta e si è mantenuta attraverso interminabili attese, fino dai tempi ormai lontani, nei quali passavano, negli occhi giovanili delle generazioni di pittori di avanguardia oggi maturi negli anni, gli splendidi fantasmi dell'arte classica. Il problema della rinascita dell' affresco, delle pitture murali in genere, che ritorna ormai ad ogni primavera ad agitare gli spiriti, è legato appunto a queste visioni lontane e superbe offuscate ed annebbiate dall'esercizio banale di tanta pittura contemporanea. 

Oggi si sono fatti molti passi avanti verso una precisa chiarezza di idee e di propositi. Indubbiamente, il lento ma progressivo affermarsi delle aspirazioni a realizzare della pittura murale costituisce il fenomeno più importante e più interessante dell'oggi pittorico. 

E ovvio che l'ideale mediterraneo, solare, del risorgi­mento dell'affresco, del mosaico, della grande arte de­corativa, non possa raggiungersi sotto certi aspetti che in Italia. Con tutto ciò all'estero sono ben più avanti di noi nei propositi e nelle esperienze. La Germania ha tentato moltissimo su questa via. In Francia Cézanne, il più grande «decoratore» moderno, inizia il ritorno ai primitivi, con una forza meravigliosa. Ma i francesi non hanno che un obiettivo volontario o involontario e sottaciuto nell'ultimo ottocento e oggi: nascondere, velare la grandezza degli italiani dei grandi secoli. Cento anni fa la gloria pittorica dell'Italia classica aveva un'eco immensa che si rifletteva in ogni senso. Ma si è preteso in Francia di aver «superato» quella grandezza, si sono dati ai moderni modelli. nuovi. A poco a poco, aiutati dalla formidabile macchina di carta stampata francese, i nomi di Michelangelo, di Orcagna, di Giotto e di Raffaello sono stati sostituiti con Ingres, Delacroix, Manet, Renoir. Costoro sono la pittura. Sono il tutto pittorico. E gli italiani vivono una vita lontana di tombe sigillate, di grandezze inutili e sepolte. Eppure essi sono terribilmente vivi, ben più vivi spesso di qualunque francese. Bisogna spezzare l'abile cerchio di silenzio della dominante arte francese verso i grandi italiani. Il metro per misurare l'arte l'hanno in mano questi, non quelli. 

E il ritorno alla pittura murale significa ritorno agli esempi italiani e alla tradizione nostra, alla quale oggi è impossibile effettivamente collegarsi, nonostante che tanto spesso se ne senta la modernità affascinante e si intuisca la spinta possente che potrebbe venire all' aree moderna dal suo esempio e dalla sua disciplina. 

Quando si dice pittura murale non si intende dunque soltanto il puro ingrandimento sopra grandi superfici di quadri che siamo abituati a vedere, con gli stessi effetti, gli stessi procedimenti tecnici, gli stessi obiettivi pittorici. Si prospettano invece nuovi problemi di spazialità, di forma, di espressione, di contenuto lirico o epico, o drammatico. Si pensa ad un rinnovamento di ritmi, di equilibri, di uno spirito costruttivo, nel quale ritornino per l'arte quelle significazioni che il trionfo del realismo nordico ottocentesco aveva distrutto. E un terreno sul quale possono fiorire infiniti germogli che, purtroppo, la pittura moderna deve invece necessariamente soffocare. Un fiume nel quale possono confluire tante correnti oggi disperse e inutilizzate. Dal futuri­smo - quello di un tempo intendiamo - dal cubismo a noi, il cammino della pittura esce dall'ambito della rappresentazione naturalistica ottocentesca e crea le nor­me architettoniche del quadro. Crea e ritrova gli equilibri plastici e pittorici che vivono indipendentemente dal «vero» della scena osservata e definita, poiché esiste un« vero» superiore, in tutto simile all'altro, e formato da un accordo di masse, di superfici, di linee, di colore, che tessono una nuova realtà nella loro trama invisibile e pur fermissima

E giusto quindi parlare di accordo auspicato tra le arti plastiche. Da questo accordo dovrà scaturire un rinnovamento delle tre arti. Rinnovamento dell'architettura alla quale la decoratività pittorica porterà un calore profondo, una vitalità affascinante e meravigliosa, rinnovamento della pittura e scultura rinsanguate da nuovi princìpi costruttivi volti a rendere espressive e significative le grandi superfici murali, oggi tanto spesso deturpate da decoratori e mestieranti. L'ambizione degli artisti è stata finora per il quadro. Forma ormai ristretta e insufficiente per le sintesi attuali, visione chiusa nelle anguste pareti delle cornici, accordo monotono e troppo semplice per le complesse orchestrazioni della vita moderna, o troppo debole e incapace di incatenare l'attenzione degli uomini, in questa epoca di miti grandiosi e di giganteschi rivolgimenti. 

M.




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